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Estratto: “come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte "in tema di IRAP, l'esercizio dell'attività di promotore finanziario di cui all'art. 31, comma 2, del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, è escluso dall'applicazione dell'imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata.

Il requisito dell'autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell'organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l'id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. 

Costituisce onere del contribuente, che chieda il rimborso dell'imposta asseritamente non dovuta, dare la prova dell'assenza delle predette condizioni”.

Estratto: “La CTP di Milano, dinnazi alla quale veniva riassunto il giudizio, si limitava a confermare le precedenti statuizioni già intervenute. La CTR della Lombardia, dal canto suo, nella sentenza oggetto di impugnazione, pur richiamando in modo espresso il principio di dritto sancito dalla Corte se ne è totalmente discostata nel prosieguo della motivazione statuendo che l'imposta dovuta doveva essere ricomputata considerando quale base imponibile il valore in comune commercio del bene già oggetto di locazione finanziaria al 31 12 1992 "determinato quale sommatoria dei canoni di leasing versati alla data del rogito e del maxicanone di riscatto", così ponendosi in contrasto con la previsione normative di cui all'art. 17 del D.Lgs. 504/1992”. 

Estratto: “Orbene una volta riconosciuto che l'Ufficio — come attestato dai giudici di prime cure - in sede di emissione dell'avviso di rettifica in questione era venuto meno all'obbligo imposto dall'art. 52 citato non rendendo noti gli elementi concreti in base ai quali era pervenuto alla diversa stima oggetto della contestazione e solo in sede di appello provveduto alla integrazione della motivazione mediante l'allegazione di atti di compravendita di immobili con caratteristiche similari a quelli oggetto di contestazione, la conseguenza che ne deriva è quella per cui la decisione della CTR impugnata è risultata basata su elementi che non potevano essere presi in considerazione perché non richiamati e allegati all'avviso di accertamento e, comunque, nemmeno esposti nelle difese di primo grado”.

Estratto:  “La CTR si è (...) limitata, a sostegno delle tesi affermate dall'Amministrazione finanziaria a richiamare, implicitamente, gli elementi di fatto accertati dalla GDF, quali: «l'insistenza dell'organizzazione aziendale e commerciale della cartiera, la qualità di prestanome dei suoi rappresentanti, la mancanza di idonea documentazione sui trasferimenti delle merci, il pagamento mediante assegni commerciali, l'inesistenza della cartiera come contribuente IVA), indicati nella sentenza rescindente, senza approfondire e corredare, concretamente, ogni singolo elemento, rispetto ai dati offerti dalla GDF, procedendo poi alla confutazione di essi, rispetto alle contrapposte deduzioni, su ogni singolo punto, prospettate dalla contribuente; ed errando, poi, nel ritenere che questa Corte, violando le proprie attribuzioni, avesse pronunciato in merito alla sussistenza dei gravi indizi attestanti la mancanza di buona fede in capo alla società ricorrente, con ciò, ulteriormente, violando il "dictum" della sentenza rescindente che richiedeva un espresso e concreto approfondimento sui suddetti elementi indiziari”.

Estratto:  con riferimento al requisito dei ricavi minimi da dichiarare, il ricorrente afferma che dal quadro Re dei Modelli Unico 2003, 2004 e 2005 risulterebbe l'incremento nella misura prevista dalla norma concordataria (vedi alla pag.39 del ricorso, in nota); a fronte delle deduzioni del ricorrente, introdotte fin nel primo grado di giudizio e reiterate in appello, il giudice di appello avrebbe dovuto verificare sia la ricorrenza dei presupposti di cui al comma 4 dell'art.33 d.l. n.269/03, sia se il risultato dell'attività di accertamento superasse la soglia del 50% del reddito dichiarato (ciò almeno in relazione all'accertamento della maggiore Irpef, poichè, per quanto riguarda l'IRAP, quest'ultima esula dalla portata applicativa dell'istituto del concordato preventivo biennale di cui all'art. 33 d.l. 30 settembre 2003, n. 269 -Sez. 5, Sentenza n. 14266 del 13/07/2016)”.

Estratto: “Il percorso argomentativo seguito dai giudici di appello risulta del tutto deficitario sul merito della pretesa, poiché non esamina le numerose e specifiche contestazioni mosse dal ricorrente nel giudizio di appello — ritrascritte nel ricorso per cassazione in ossequio al principio di autosufficienza — tutte volte a negare valore presuntivo agli elementi presi in considerazione dall'Agenzia delle entrate e posti a giustificazione della ricostruzione del maggior reddito rilevato. Infatti, i giudici di appello hanno recepito acriticamente le conclusioni cui l'Ufficio era pervenuto con la proposta di conciliazione, ma hanno del tutto pretermesso di valutare gli elementi di fatto decisivi e rilevanti, posti in evidenza dal contribuente, e di illustrare le ragioni per le quali hanno aderito alla tesi dell'Ufficio e disatteso le puntuali censure sollevate dal ricorrente per dimostrare che gli elementi indiziari su cui poggiava l'accertamento erano inattendibili ed inficiati da errori”. 

Estratto: è dato rilevare che la C.T.R. non ha spiegato, con chiarezza, le ragioni di condivisione dell'azione accertatrice, e cioè sulla base di quali elementi di fatto abbia ritenuto che l'importo in contestazione (euro 609.683), consistente in perdite su crediti e altri oneri connesse alla cessione (ad altri istituti di credito) di contratti di finanziamento, stipulati dalla succursale milanese con i propri clienti italiani, non rileverebbero come costi deducibili, ossia come componenti negativi del reddito della «SO», assoggettato ad imposizione fiscale in Italia”. 

Estratto“Se alla Amministrazione finanziaria fosse consentito di omettere qualunque motivazione circa i fatti costitutivi della pretesa di riscossione integrale di un credito tributario ancora sub iudice, risulterebbe compromesso il diritto di difesa del contribuente, il quale si vedrebbe costretto ad impugnare la cartella senza conoscere le ragioni (e quindi senza poterle specificamente contestare) per le quali l'Ufficio , sulla base di motivi non palesati, ha ritenuto la sussistenza delle condizioni per procedere alla iscrizione a ruolo straordinario. 

Vero che la cartella, specie se preceduta dalla notifica del prodromico avviso di accertamento, non richiede una particolare motivazione; ma ciò vale con riguardo alle ragioni di fatto e di diritto su cui si basa la pretesa impositiva, già nota al contribuente perché contenute nell'atto impositivo o perché desumibile dalla sua stessa dichiarazione (nel caso di cartelle emesse a seguito di controlli automatizzati o formali ex artt.36 e 36 ter d.P.R. n.600 del 1973), rendendo in tali casi superflua la ripetizione, nell'atto della riscossione, dei motivi della pretesa impositiva”.

Estratto: “nel caso di specie, si è trattato di una verifica fiscale mediante accesso, presso la sede legale della società, documentato da un verbale di constatazione - e non, quindi, di un accertamento cd. tavolino -, sicché la censura dell'ufficio va disattesa alla luce del saldo indirizzo di questa Sezione tributaria (Cass. 15/01/2019, n. 701), che il Collegio condivide, secondo cui: «In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l'art. 12, comma 7, della I. n. 212 del 2000 (cd. Statuto del contribuente), nelle ipotesi di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all'esercizio dell'attività, opera una valutazione "ex ante" in merito alla necessità del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, sanzionando con la nullità l'atto impositivo emesso "ante tempus", anche nell'ipotesi di tributi "armonizzati", senza che, pertanto, ai fini della relativa declaratoria debba essere effettuata la prova di "resistenza", invece necessaria, per i soli tributi "armonizzati", ove la normativa interna non preveda l'obbligo del contraddittorio con il contribuente nella fase amministrativa (ad es., nel caso di accertamenti cd. a tavolino), ipotesi nelle quali il giudice”.